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.Adesso ero io a rimpiangere il rifiuto di quel gesto.La mia vita era tutto uno sbaglio.Meglio, molto meglio sarebbe stato non essere mai nata.La mattina dell'intervento Franco mi ha dato i soldi per il taxi.Dovevano servire per il ritorno.La clinica era quasi fuori città.Mi sonomossa con molto anticipo per arrivare in tempo.L'autobus mi ha lasciato lì davanti un'ora prima del previsto.Non avevo voglia di entrare, così ho passeggiato un po' per le strade intorno.C'era qualche villa di recente costruzione, dei campi incolti, quattro o cinque capannoni e tra i capannoni, quasi schiacciata, una chiesetta.Doveva essere stata costruita quando ancora la città era lontana.L'aria era già torrida.La porta era socchiusa.Ho pensato al fresco, così l'ho spinta e sono entrata.Era piccola e neanche bella, il pavimento era di piastrelle come quello diuno studio dentistico.Alle spalle dell'altare troneggiava un brutto crocefisso.Non sembrava un Cristo morto ma un Cristo nel pieno dell'agonia.Stava tutto storto, scomposto, come se il dolore gli stesse ancora divorando le ossa.I fiori nei due vasi sotto, invece, erano già morti.Pendevano afflosciati nell'acqua sporca.Al lato destro dell'altare, c'era una statua della Vergine.Aveva una corona di lucette in testa come le gondole e il lungo manto azzurro e bianco.Teneva le braccia aperte come aspettasse qualcuno da accogliere.Era scalza, ma questo non le impediva di schiacciare con il piede nudo la testa di un serpente.Davanti a lei, tremolavano due candele accese.Stanno per spegnersi, ho pensato e in quel mentre da una vetrata rotta hanno fatto irruzione dei passeri.Cinguettavano forte, inseguendosi nell'aria come se stessero giocando.Hanno volato per un po' di qua e di là facendo un gran fracasso.Poi si sono posati sui due bracci della croce.Non erano compagni di gioco, ma una mamma con i suoi piccoli.I piccoli adesso pigolavano e sbattevano le ali e la madre li nutriva, ficcando il becco nelle loro piccole gole spalancate.Loro chiedevano e lei dava.Li nutriva anche se erano già grandi, anche se erano già in grado di volare da soli.La Vergine, con il suo sorriso mite, mi stavaancora guardando.Nel mezzo delle guance aveva due pomelli appena un po' più rossi.Ho alzato lo sguardo verso di lei e le ho detto:«Non dovresti essere Tu la madre di tutti noi?».Poi ho allungato una mano per toccarle il piede che schiacciava il serpente.Pensavo fosse freddo, invece era tiepido.Mezz'ora dopo ero sul lettino della clinica.Il dottore amico di Franco stava spalmando il gel per l'ecografia.Il rumore del mare non mi aveva ancora abbandonato.Tum sflusc, tunf sflusc, tum sflusc.«Dottore», ho chiesto, «è possibile che io senta già il cuore di mio figlio? »Il medico è scoppiato a ridere.«Che fantasia! » Mi ha indicato un punto sullo schermo.«Quello che chiami tuo figlio, al momento non è molto diverso da uno sputo.» Poi ha aggiunto: «Rivestiti e accomodati nella sala accanto.Tra mezz'ora procediamo».Mi sono rivestita e ho cominciato ad aspettare.A un certo punto, mentre stavo seduta, ho sentito l'odore di mia madre.L'odore della sua pelle e dell'acqua di colonia.Quell'odore che non sentivo da anni.L'odore della tempesta di baci.Mi sono guardata in giro.Nella sala non c'era nessuno, le finestre erano chiuse.Allora ho capito e ho fatto l'unica cosa che potevo fare.Mi sono alzata e sono andata via.Vicino al capolinea, c'era una cabina telefonica.Da lì ho chiamato Franco.Era allo studio.«Come stai?» mi ha chiesto.«Sto bene perché ho deciso di tenerlo.»«Sei impazzita? »«Forse.»«Vuoi mettere al mondo un altro povero infelice? »«Forse.»E' seguito un lungo silenzio, poi ha detto:«Da te non mi sarei mai aspettato un comportamento così sciocco.Comunque, tu sei liberadi rovinarti la vita.Bisogna vedere se me la voglio rovinare anch'io».La pancia ancora non si vedeva, ma presto sarebbe successo.Cosa avrei fatto in quel momento?Pensavo a questo, qualche giorno dopo, quando, entrando in cucina, me li sono trovatidi fronte tutti e due con delle facce immobili e livide.«Cos'è successo?» ho chiesto con un filo di voce, pronta al peggio.La voce di Giulia tremava.«Come hai potuto farmi questo?»Ho abbassato lo sguardo.Era così che lui si vendicava?«E vero, avrei dovuto dirlo prima.»«Dirmi cosa? Che sei una ladra? E io che ti ho trattata come una figlia! Da giorni cerco il mio anello con lo smeraldo e poi dove lo trovo?In fondo ad un tuo cassetto! Chissà quante altre cose hai fatto sparire in questi mesi! »«Abbiamo fatto l'errore di fidarci», ha aggiunto Franco con uno sguardo opaco.«Ma quando la radice è marcia, prima o poi marcisce anche la pianta.Ti abbiamo voluto comunque bene.Per questo non chiameremo la polizia.Però ti devo chiedere di lasciare la casa entro domani mattina.E, ovviamente, di restituirci tutto quello che non ti appartiene.»L'ennesima notte in bianco.Invece di riposarmi ho passato il tempo a pensare al modo migliore per vendicarmi.L'assenza di luce favorisce i pensieri più tremendi.Avrei voluto prendere la sua bambina e soffocarla con un cuscino, spingerla in un canale, vedere i suoi capelli dorati fluttuare sull'acqua come vecchi stracci.Avrei voluto prendere una tanica di benzina e vuotarla sul parquet e i mobili di legno e poi lanciare qualche fiammifero e farlo morire come muoiono ledonne indiane, sulla pira del marito.Avrei voluto allentare i freni della sua auto e vederlo schiantarsi contro il muro.Avrei voluto sputargli in faccia e poi ficcargli un coltello nel ventre.Avrei voluto aprirlo dalla testa al ventrecome un tonno, tirando fuori le sue viscere calde con le mie mani.Avrei voluto fargli bere una pozione mortale, un veleno lentissimo, che producesse un'agonia insopportabile.Poi ho pensato che la morte in fondo era un dono, che sarebbe stato molto meglio farlo vivere nell'umiliazione e nel tormento.Avrebbe potuto cadere dalle scale e rompersi la spina dorsale, restare per sempre sU un letto, con ilrespiratore a tappargli la bocca.Oppure avrebbe potuto crollare una casa che aveva costruito.Il crollo avrebbe provocato un bel po' di morti e lui sarebbe andato in galera e avrebbe perso tutto.Quando fosse uscito, la moglie non sarebbe stata più lì ad aspettarlo, la figlia, ormai adulta, avrebbe fatto finta di non conoscerlo.Ecosì lui sarebbe finito in strada, girando per le mense dei barboni con dei sacchetti di plastica in mano.Avrei potuto anche dire alla moglie che io non avevo rubato niente in casa sua.Odiavo sì, ma il mio odio non aveva nessun legame con l'avidità.Avrei potuto raccontarle per filo e per segno tutto quello che c'era sotto la storia del furto.Avrei potuto svelarle cosa faceva suo marito, quando stava a lavorare fino a tardi nel suo studio.Avrei potuto dirle che quel figlio che mi cresceva dentro probabilmente sarebbe stato il fratello o la sorella di Annalisa e dunque, in qualche modo, stavamo per diventare parenti.Avrei potuto dirglielo, ma lei avrebbe potuto non credermi.Anzi, di sicuro non mi avreb be creduto, perché io ero soltanto una senza famiglia, la figlia della prostituta che rubava e alzava il gomito, mentre l'uomo accusato era suo marito.L'uomo che la manteneva nel benessere e con il quale aveva messo al mondo una bambina che era la luce dei suoi occhi.Tacere era meno grave che non essere creduta.Poco prima dell'alba ho preso la mia sacca sportiva dall'armadio e vi ho messo le poche cose con cui ero arrivata
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